A CONTATTO CON L’ANSIA: UNA GUARIGIONE POSSIBILE

Il contatto, il contatto fisico, è una oggettiva prova di realtà. Ci permette di sentire come la parte del corpo che ne tocca un’altra si sente in quel momento. Un piccolo momento di presa di coscienza corporeo di quello che realmente mi sta accadendo.

Ma il contatto corporeo, per ottenere davvero questo senso, questo significato di realtà, ha bisogno di un contesto, una motivazione.

L’ansia si manifesta in noi come una sospensione, una tensione, a volte insopportabile, a volte quasi scontata, che non ha una direzione precisa, una meta da raggiungere per poi sfogarsi in un rilassamento. Il motivo per cui si manifesta in questo modo è che l’ansia è tale proprio perché non ha un riferimento chiaro nella realtà. In questo modo l’ansia si autoalimenta, ci fa stare male, e, più aumenta e più ci allontaniamo dalla realtà ovvero da ciò che sta accadendo in questo preciso momento.

Definirei l’ansia come una sorta di malattia del futuro intendendo che il problema risiede proprio in un inquietudine che proviamo davanti a ciò che potrebbe accadere. E non siamo fiduciosi che questo futuro sia positivo.

Quando aiuto le persone a lenire o persino risolvere questo disagio so bene che l’obiettivo del lavoro è tornare il più possibile alla realtà di adesso cioè a qualcosa che posso vedere, che posso controllare, che posso accettare.

L’era pandemica ci ha messo tutti in una condizione di incertezza, un’incertezza che, con il passare del tempo, abbiamo assorbito nel nostro corpo come una parte stessa di noi come se l’avessimo assimilata come “normale”. Il nostro organismo, il nostro corpo però la pensa diversamente e protesta in vari modi il suo desiderio di stare bene e di non essere sempre in attesa di ciò che sta per accadere.

Trascorro gran parte del mio tempo tenendo fra le mie braccia persone che cercano un aiuto. Questo gesto è sicuramente un antidoto potente contro l’ansia perché ci riporta alla realtà, una realtà che in quel momento è percepita come desiderabile e che di conseguenza riduce il senso dell’ansia.

Ma il mio lavoro non consiste solo nell’abbracciare persone. Consiste nel comprendere il significato di quell’abbraccio, nel proporre ai clienti uno strumento chiaro, comprensibile, che possa far emergere i motivi legati all’ansia per poi provare a risolverli attraverso il contatto e la parola.

Per esempio, una donna viene da me portando una sensazione d’ansia a cui non sa dare un nome preciso. La invito a fare una danza durante la quale io la guido e lei prova semplicemente ad ascoltarsi mentre io l’abbraccio. Suona una musica tranquilla che da spazio ai suoi pensieri ma, soprattutto, alle sue emozioni che si danno il permesso di emergere proprio grazie a quell’abbraccio che allenta l’ansia. Quando poi parliamo di com’è andata l’esperienza lei inizia a comprendere nel dettaglio cosa davvero le procura l’ansia: la paura per il futuro dei suoi figli.

Ora che “ci vede meglio” l’ansia è calata ma ovviamente non abbiamo risolto il problema reale…

A questo punto le propongo di abbracciarmi e di guidarmi. Suona una musica forte, coinvolgente, che le da il permesso di sfogare la tensione che ancora alberga nel suo corpo. Praticamente mi guida nella stanza, con gli occhi aperti, tirando fuori tutta l’incazzatura per la pandemia, le conseguenze ecc.

Alla fine è esausta ma l’ansia è come sparita. Quando parla è tranquilla. E’ come se l’ingombrante fardello dell’ansia avesse lasciato spazio a qualcos’altro: una visione più realistica del futuro, con luci e ombre, possibili decisioni da prendere, lo spazio di una speranza realistica.

Il mio obiettivo, ovvero il dare spazio ala realtà, è raggiunto. La mia cliente sta meglio perché quello spazio prima era occupato dall’ansia, una ipertrofica bolla ghiacciata fatta di niente, che impediva alle emozioni di spiegare al mondo il perché di quel malessere.

Il nostro incontro si conclude con una danza (guido io) durante la quale lei si accorge di una cosa meravigliosa: sta respirando di nuovo.

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